Roberto, Gaia e Sudarshan

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Qualche anno fa, quando da poco avevamo intrapreso il percorso dell’ adozione, abbiamo avuto modo di ascoltare qualcuno che, in occasione dell’acceso dibattito sulla fecondazione assistita, in atto in quegli anni, aveva affermato: “la maternità e la paternità sono legittimi desideri, ma non sono un diritto. Piuttosto sono quei bambini in situazioni di grave difficoltà, in ogni parte del mondo, ad avere il diritto di vivere la loro infanzia e una esistenza “normale” …”. Una frase che era suonata, per noi, come una conferma: la scelta dell’adozione era la cosa più giusta e più bella da fare.
Non molto dopo era arrivato il tanto atteso “abbinamento”: quella piccolissima fototessera e le poche righe che ci parlavano di Sudarshan, maschietto di cinque anni, ci facevano prendere coscienza che stavamo diventando genitori. Ma solo le forti emozioni, e anche le paure del “non essere adeguati”, provate al momento del nostro primo incontro con lui, in Nepal, quel primo incontro tante volte immaginato e sognato, al quale avevamo provato a prepararci, ci avevano reso consapevoli, improvvisamente, che proprio quel piccolo era nostro figlio.
Raccontare brevemente quello che è accaduto dopo, il rapporto costruito e conquistato giorno per giorno, le difficoltà e le gioie, le incomprensioni e le intese, ci sembra ora cosa difficilissima. Ma possiamo testimoniare che oggi, a distanza di qualche anno, Sudarshan appartiene così completamente e profondamente alle nostre vite da non poter immaginare un amore più grande di quello che proviamo per lui. La serenità e l’allegria che, ogni giorno, dimostra e trasmette ci restituisce il centuplo e ci conferma nelle scelte fatte.
“Namaste”, il saluto in lingua nepali, è stata la prima parola che gli abbiamo sentito pronunciare, con le mani giunte e il capo chino, gli occhi vispi e curiosi, seduto per terra insieme agli altri amichetti dell’istituto; una immagine che non possiamo dimenticare anche per la presenza di quei bambini che, come lui, attendevano l’arrivo di una mamma e di un papà, ma che nonostante tutto ci apparivano allegri e sereni.
Proprio per questi bimbi, per il loro diritto a vivere una infanzia e una vita “normali”, oggi desideriamo impegnarci (insieme agli amici che con noi hanno vissuto questa avventura): è il desiderio di non considerare chiusa l’esperienza col Nepal, di volerla approfondire e coltivare, anche per dimostrare a nostro figlio che amiamo il suo paese nativo e che non possiamo nè vogliamo dimenticarcene.

Gaia e Roberto
(marzo 2010)